Spalletti in conferenza stampa di presentazione alla sfida all’Inter che non sarà decisiva, ma potrebbe rappresentare una piccola felicità.
“Che possa succedere qualcosa all’ultimo momento fa parte delle difficoltà della stagione. Forse vi siete dimenticati che nelle prime due partite di campionato noi abbiamo giocato con tre centrocampisti perché s’è fatto male Demme, così come Zielinski dopo 20′ col Venezia. Inoltre non si aveva Anguissa. Si giocava con tre centrocampisti di numeri e si giocava con quelli lì. Si lascia il dubbio prima di giocare che l’assenza di un giocatore ci faccia perdere la partita o ci faccia fare una provo sotto livello? E’ un ragionamento scorretto”.
Che partita di aspetta domani?
“Sarà una partita in cui tutte e due le squadre andranno alla ricerca della vittoria perché hanno bisogno dei tre punti. Loro stanno in campo con una conformazione geometrica diversa dalla nostra e ci sarà da coprire gli spazi che loro prenderanno in fase di possesso perché loro sono bravi con gli esterni a tutta fascia. Le intenzioni sono sane da parte di tutte e due le squadre. L’Inter ha fatto vedere in passato e quest’anno con Inzaghi di fare bene”.
Che emozione è la sfida da ex all’Inter?
“Con me diventa facile questo discorso perché io parlo con pochi, io sono sempre solo. Amici, non amici, spero che non mi fischino e queste cose qui? Per me la gente può fare ciò che vuole. Ho preso fischi e insulti da tante parti. Ma io guardo il mio lavoro, non quello degli altri. Quando vado via dal club guardo se ho lasciato i conti migliori e se ho vinto qualche partita. Ma si pensa a ciò che faccio io, non paragonato a ciò che fanno gli altri. Poi uno dà il taglio che vuole alle cose. In base alle amicizie e i contatti che si hanno. Io ho finito all’Inter con la difficoltà della gestione in quel momento lì, con tutto ciò che veniva fuori per creare delle difficoltà. Non ho dato colpa a nessuno di quel quarto posto, ho finito e sono andato a casa perché mi avevano mandato a casa. E’ chiaro che delle valutazioni poi vadano fatte perché sono in base alle possibilità che uno ha a disposizione. Se uno ha la possibilità di spendere di 240 milioni di stipendi non è uguale a chi ha un monte ingaggi da 100 milioni. Non si va a prendere giocatori fermi a casa, ma giocatori dal Chelsea, dal Manchester City, più abituati a vincere rispetto ad altri. Per me sarà una partita come tutte le altre perché io sono abituato a vivere intensamente tutto ciò che faccio e lo vivo in diretta. Non si prepara niente. Anch’io sono curioso di vedere che reazione avrò quando sarò a San Siro. Ogni cosa che faccio la vivo con sentimento e le faccio seriamente. Lì ho preso delle decisioni e l’ho fatto volentieri perché un allenatore deve essere giusto per il bene del gruppo. L’esperienza all’Inter mi ha dato tanto e voglio ringraziare i tifosi, a prescindere dal trattamento che mi riserveranno. Ringrazio anche i calciatori, con cui ho un grandissimo rapporto. Mi sono continuato a sentire con qualcuno di loro e c’è stima dopo la nostra collaborazione. Vado orgoglioso di aver ridato forza a quello che era una conformazione della Pinetina lì, anche i giardinieri hanno messo a posto delle cose per me, come alzare le piante. Abbiamo dato continuità alla cappella in onore di Angelo Moratti, venivano da Roma a celebrare la messa prima di ogni partita. Sono dei momenti belli che porterò sempre con me e mi hanno dato la possibilità di emozionarmi fortemente”.
Qual è la sua definizione di questa partita?
“Sarà importantissima per tutte e due, ma definitiva mai. Ci sono squadre forti in campionato e delle difficoltà momentanee che possono arrivare da ogni parte. Ha ragione Inzaghi a dire che è importante ma non decisiva”.
Per lei è una rivincita sfida la sua ex, l’Inter, da capolista?
“Io non ho da far valere nessuna rivincita. Domani è un passaggio fondamentale per un’altra piccola felicità. Non per la mia, o anche per la mia, ma soprattutto per tutte quelle persone che ci amano e ci seguono. Noi siamo già a posto. Se continuo a fare questo lavoro a 62 anni è perché sono in cerca di una dignità, che sarà una certezza solo quando ti batterai per le persone che ti vogliono bene, non solo per il tuo esser famoso e per il ruolo. Abbiamo una città dietro che è lì che freme. Santoro mi ha detto che alla partenza ci saranno mille persone a salutarci, una roba impossibile questa. Si sente che la vivono così, anche se rimangono a casa. Ma che si scomodino, vengano lì e organizzino per stare lì è una roba che ci deve per forza far riflettere su quello che dovrà essere il nostro comportamento, la nostra ricerca, la nostra voglia. Noi dobbiamo passare attraverso la gente che ci vuole bene, che ci ama. Chi non sa riconoscere quest’amore non sarà mai fiero di ciò che ha fatto”.
Non è decisiva neanche per l’Inter?
“No, neanche per loro. Ci sono tante partite e saranno molte le difficoltà, per tutti. La felicità è nascosta un po’ dietro queste difficoltà. Fin quando sei di fronte ad un risultato così o quando ti trovi a dover sostituire uno o due giocatori non bisogna abbassare le spalle, o non si raggiungono gli obiettivi. E’ tutto dietro queste difficoltà qui: le assenze, la gestione delle partite quando mancano un paio di giocatori senza lamentarsi. Io non mi sono mai lamentato in carriera. Non ho mai detto ‘Mi manca questo o quell’altro’, perché sarebbe come dire alla squadra che non possiamo farcela da soli. Invece possiamo farcela. I problemi non finiscono mai, ma neanche le soluzioni. Per questo si va a cercare le soluzioni sempre. Per loro non è definitiva”.
Con che certezze e che dubbi il Napoli va a Milano?
“Le certezze di quanto fatto fin qui, delle qualità esibite dai nostri calciatori, di migliaia di persone che ti vogliono bene e ti sostengono se casomai una volta ti venisse il dubbio di non farcela ad essere fortissimo. La nostra gente pensa che noi siamo una squadra fortissima. Di dubbi non ce ne sono. Noi andiamo lì per fare la partita. C’è un avversario che ha le nostre stesse qualità, dei calciatori di livello come il nostro e un allenatore che ha un’esperienza su quel gioco che gli fa fare e ha trovato una squadra che ha già fatto quel gioco negli anni precedenti. Ci saranno delle difficoltà, le stesse che dicevamo prima, ma ci vuole il coraggio per affrontare queste difficoltà. Si fa spazio a quelli che non vedono l’ora di affrontarle le difficoltà”.
Come si vive la lotta per il titolo con una proprietà italiana dopo gli anni passati all’Inter?
“Grossomodo è uguale. Lì avevo un presidente di una nazione differenze, di un Paese diverso, però il figlio lavorava lì a Milano, era spesso presente. Per cui diciamo che è simile grossomodo. Zhang rimaneva perlopiù in Cina quindi la viveva più indirettamente. De Laurentiis invece vuol sapere le cose, ci telefoniamo. Zhang sorvegliava a distanza, De Laurentiis sorveglia da vicino e ti fa sentire la sua presenza. Con entrambi ho avuto la possibilità di lavorare come meglio credo. Poi sono sempre i risultati che fanno la differenza”.
Un parere sulla Nazionale?
“Mancini ha le soluzioni per rimettere a posto questa cosa. Secondo me se la sarebbe già meritata la qualificazione l’Italia per ciò che ha fatto vedere. Non so perché i risultati gli abbiano dato contro. Un po’ di fortuna e sfortuna nel calcio esiste, può essere dipeso da questo. A Mancini non si insegna nulla, sa come fare le cose”.
Come sta Lozano dopo quello che ha detto in settimana? A destra può giocare anche Zielinski?
“A destra può giocare Zielinski, può giocare Elmas, può giocare Lozano. Quest’ultimo sta bene, ha viaggiato ieri per ore e ore ma è molto voglioso. Ci ho parlato stamane. E’ sorridente perché è un ragazzo molto positivo, dolcissimo da un punto di vista di contatto professionale. E’ normale che abbia ambizioni di crescita, come le devono avere tutti. Poi mi auguro che lui a fine stagione riceva l’interesse anche di club che lui ritiene più importanti del Napoli, perché no: significherebbe che si è reso protagonista del raggiungimento di alcuni nostri obiettivi. L’anno scorso rimanendo fuori dalla Champions League noi non abbiamo ricevuto alcuna richiesta per i nostri calciatori. Se vogliono avere richieste devono fare risultati qui. E’ bene che i calciatori abbiano chiaro il fatto che è sempre la vittoria che ci mette in condizione di avere visibilità. La sconfitta riporta tutti dentro alla dimensione uguale. Nella sconfitta non c’è chi ha fatto gol, assist, che ha salvato la rete in spaccata. Io metterei il premio obiettivo anche a chi salva i gol, non solo a chi li fa. Per me questo è un modo di vederlo da un punto di vista di società. E’ chiaro che chi fa gol ha un vantaggio superiore. Non ho mai visto un premio per chi salva un gol. Poi dite ‘Facciamo le sostituzioni’, ma poi come la pensa chi ha dei premi se fa gol quando lo togli a mezzora dalla fine? Allora ragioniamo col cervello perché altrimenti c’è qualcosa di scollegato”.
Su Koulibaly.
“L’abbiamo già detto cosa rappresenta per noi, non soltanto per me. Ci vogliono degli esempi, diventa difficile trovare ancora parole. Questa settimana è successo che quando è arrivato, al primo allenamento, è andato in scivolata ed è andato col ginocchio sotto. Ha sentito male, è rimasto per terra. Si è fermato l’allenamento. In un attimo c’erano anche i magazzinieri attorno a lui, oltre che tutti i calciatori, in attesa di vedere la reazione sua. Dopo tre minuti hanno ricominciato a giocare e tutti guardavano verso la panchina, non giocavano la partitina, volevano vedere se rientrava o no. A me non interessa se Maradona è stato il più grande calciatore o meno, mi interessa sapere quello che ha lasciato. E’ quello lì. Non è quello che dico io, ma quello che provano tutti quello che significa poi l’importanza del soggetto all’interno di un gruppo. E quando poi in Europa League si è detto che vogliamo essere tutti come il vatusso Koulibaly è stato un gioco di parole, ma sta a significare che tipo di persona è. Io sono stato fortunato ad averlo, ma la fortuna con me non ha finito, ne avrò altri di calciatori così. Nestor Sensini è un calciatore così: entrava nello spogliatoio e tutti lo salutavano, aveva un grande rispetto, senza che neanche parlasse. Era il rispetto che s’è guadagnato con la sua carriera”.